Il papiro



Le prime notizie sull'uso del papiro risalgono alla prima dinastia dell'antico Egitto, ove era il simbolo del Basso Egitto, ma il materiale conobbe una rapida diffusione in tutto il bacino del Mar Mediterraneo, in alcune regioni dell'Europa continentale e nel medio oriente.
Plinio il Vecchio riporta nella sua Naturalis Historia il procedimento per lavorare la pianta ed ottenere i fogli di papiro (libro 13, 68 e seguenti).
In Sicilia il papiro cresce lungo i fiumi Anapo e Ciane che sboccano nel porto di Siracusa a poca distanza uno dall'altro.

Il fusto della pianta viene tagliato in varie strisce sottili che sono poi immerse in acqua, anche se alcuni studiosi ritengono che il taglio avvenisse sul perimetro del fusto, fino a ricavare un unico foglio di grandi dimensioni.
Dopo un certo numero di giorni che fa acquistare alle strisce un colorito bruno più o meno accentuato che dipende dalla maggiore o minore permanenza nell'acqua, le strisce sono intrecciate in strati ortogonali e le stesse sostanze naturali presenti nel fusto consentono un lento ma tenace incollaggio man mano che esse si asciugano mentre sono sottoposte a opportuna compressione. Il risultato dopo un periodo di tempo di alcuni giorni è quello di un foglio assai resistente su cui è possibile usare i vari tipi d'inchiostro.
Si scriveva in file orizzontali, generalmente su un solo lato del foglio, con un pennino. La pagina veniva quindi suddivisa in colonne: su un lato del foglio veniva poi fissato un bastoncino chiamato "ombelico", dove veniva avvolto il rotolo conservato poi in uno scaffale.
Il lavaggio è una fase molto importante in quanto consente la fuoriuscita del succo della pianta che agisce come una colla capace di tenere assieme le varie strisce affiancate l’una all’altra.
Gli Egiziani pensavano che fosse essenziale utilizzare l’acqua sacra del Nilo ma in realtà si può utilizzare benissimo anche altra acqua ed ottenere ugualmente lo stesso identico risultato.
La composizione e le impurità presenti nell’acqua utilizzata in questa fase hanno comunque un ruolo fondamentale in quanto se esse non sono appropriate, la carta si deteriora soltanto dopo pochi anni.
La differenza tra un buon papiro e un cattivo papiro consiste molto nel tempo di conservazione del materiale. A Siracusa ci sono voluti anni e anni di studi e ricerche ed affinamenti per mettere a punto una tecnica di lavorazione del papiro ed ottenere risultati soddisfacenti.


Con le strisce del papiro così trattate si costruiva prima uno strato affiancando verticalmente tante strisce.

Sopra questo strato veniva poi disposto un secondo strato, composto da tante strisce sottili disposte orizzontalmente. Si otteneva così un foglio che aveva all’incirca le dimensioni del formato A4.

Gli scrittori e gli storici antichi ci hanno tramandato le varie dimensioni caratteristiche dei fogli di papiro e i nomi dei vari tipi di carta secondo la qualità della medesima. Il foglio veniva quindi posto sotto una pressa tra due panni di materiale assorbente (come il feltro) per alcuni giorni, fino a quando il foglio non si era seccato per bene. La fase di essiccazione veniva poi probabilmente completata lasciando asciugare al sole le pagine.
La superficie del foglio ottenuto era certamente ancora un po’ ruvida e quindi veniva levigata per esempio battendola con delle pietre.